Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber

venerdì 6 gennaio 2017

LA CAMPANA DI VETRO - Francesco Callegari


Ormai faccio parte della Terza età. Me ne sono reso conto all’improvviso, quando Trenitalia, nel farmi gli auguri per i miei sessant’anni, mi ha graziosamente fatto notare che da quel momento avrei avuto diritto agli sconti per i miei viaggi in treno. La benefica scossa mi ha stimolato a ripensare al film della mia vita. E di questo film, mi piacerebbe scorrere assieme a voi alcuni fotogrammi: ai vecchi, si sa, è concessa qualche libertà.
Ho lavorato nella scuola per tanto tempo. Ho cominciato come supplente, nei primi anni Ottanta e mi ricordo di avere passato più tempo fuori, all’aria aperta, con le mie classi, nei prati, nelle cascine e sotto gli alberi, che tra le mura dell’aula. Un anno, a Bevadoro, abbiamo perfino invitato a scuola il casaro e fatto bollire in cortile non so quanti litri di latte per poi fare il formaggio tenero e fresco che abbiamo mangiato lì, tutti insieme spensieratamente. Si lavorava molto, ma nella letizia e senza tante ansie, nella fiducia e nel rispetto da parte delle famiglie.
Tutto era vissuto all’interno del sogno dell’avventura educativa, nell’entusiasmo di una gioventù che non era soltanto anagrafica, ma che rispecchiava anche il fiorire di una società inserita in un mondo aperto a tante opportunità. E ciascuno si sentiva “respons-abile”, cioè in grado e in dovere di rispondere per quanto gli competeva alla costruzione di quel mondo. In tutti si faceva tutto: insegnanti pieni di voglia di sperimentare, famiglie che collaboravano fiduciose, ragazzi che a scuola venivano anche per stare insieme ai loro compagni e, perché no, pure per litigarci, salvo poi trovare sempre il modo di riappacificarsi, anche senza l’intervento degli adulti.
E’ stata una stagione straordinaria, un modo di fare scuola che è ancora nel cuore di chi l’ha vissuto, ma che oggi non è più ripetibile.
Mi sono chiesto cosa sia cambiato nella società per portarci a perdere la freschezza e la spontaneità di quegli anni e ho provato a darmi delle risposte. Sono sicuramente risposte parziali, risposte che vogliono soltanto fotografare la realtà dal mio punto di vista, senza la minima presunzione di volerla giudicare o la pretesa di cambiarla.
La risposta immediata che mi sembra possa spiegare questo profondo cambiamento sta nella diversa sensibilità che oggi la società presenta nell’ambito della responsabilità personale e in quello della sicurezza. Per quanto riguarda la prima, vedo persone sempre più preoccupate nel cercare al di fuori di sé la causa di ciò che gli succede, con la conseguente necessità di trovare in ogni caso qualcuno su cui scaricare la responsabilità dei loro guai. Per quanto riguarda la sicurezza, noto che, almeno nella scuola, questo tema è diventato talmente pressante, da soffocare qualsiasi anelito al rischio e all’avventura.
In definitiva, è la paura, il sentimento che ci sta attanagliando: la paura di perdere quello che abbiamo, sia esso qualcosa o qualcuno. Dalla paura primordiale di perdere la vita, fioriscono e trovano alimento tutte le nostre paure quotidiane: la paura di non essere amati; la paura dello sconosciuto e del diverso; la paura dell’incontro e quella dello scontro; la paura del nuovo e dell’incontrollabile; la paura di fidarci e di restare delusi; la paura di essere lasciati soli e quella di non essere riconosciuti; la paura di affidare a qualcuno i nostri beni, i nostri figli …
Solo chi si fida non ha paura.
Questa, a mio parere, è la grande perdita della nostra società: la perdita della fiducia. E in questo clima generale, le famiglie non fanno eccezione: ci consegnano i loro figli, ma anche ce li “af-fidano”?
Se la nostra preoccupazione come scuola è sempre stata, nel passato, quella di offrire ai ragazzi le più varie opportunità di crescita, anche cimentandosi in nuove esperienze e sperimentazioni manuali, ora il nostro primo pensiero e le nostre maggiori energie vanno a salvaguardarne l’incolumità, evitando tutte quelle attività che potrebbero, anche solo lontanamente o ipoteticamente, comportare un rischio.
L’azione educativa della scuola è storicamente legata alle esigenze e alle aspettative della società che la progetta, e che la finanzia. Anche se, personalmente, ritengo questa scelta pericolosa e molto limitante, non posso che farmene una ragione e accettare questo vincolo. L’atto educativo che si realizza nelle nostre scuole è pertanto curvato sul profilo e sulle esigenze della società che abbiamo oggi, com’è andata delineandosi in questi anni.
Naturalmente, nessuno mette in discussione l’importanza dell’incolumità psicofisica dell’alunno, ma forse ci si dimentica che crescere comporta necessariamente dei rischi. Soprattutto nel caso di bambini e ragazzi che trovano il loro modo di apprendere sperimentandosi quotidianamente nel rapporto con i compagni e con l’ambiente che li circonda. Quale libertà educativa può prendersi e dare una scuola che viene minacciata di denunce per il solo fatto che il figlio arriva a casa graffiato da un compagno? Come possiamo pretendere che i docenti lavorino bene con l’angoscia continua di ricevere le lettere dagli avvocati e di essere chiamati in giudizio per qualsiasi litigio tra coetanei? In diverse scuole italiane sta capitando proprio questo.
E’ necessario, a questo punto, che anche le famiglie comprendano come sia necessario trovare un equilibrio tra il nostro compito di educatori e quello di custodi/sorveglianti, nella piena consapevolezza che è certamente indispensabile mettere in atto tutte le strategie per ridurre i rischi, ma anche nella serena accettazione che stiamo vivendo in un mondo in cui non è possibile bandire del tutto il pericolo e solo una campana di vetro potrebbe eliminare il rischio della “collisione educativa”.
Personalmente, credo che il ragazzo cresca meglio in un ambiente dove sente di essere circondato da persone che gli danno fiducia e dove sa di poter sempre contare su una base sicura in caso di bisogno. E quando dico sempre, intendo proprio “sempre”, in ogni momento della giornata e ovunque egli si trovi.
Siamo arrivati a parlare di fiducia e di libertà, due doni che rendono preziosa la vita di ciascuno, sia esso uomo o donna, bambino o adulto, genitore o insegnante.
All’inizio di ogni anno ci si augura salute e ricchezza. Io auguro a tutti noi di riuscire a rompere la nostra campana per essere pervasi dalla luce e dalla forza che solo la reciproca fiducia può darci.
Correremo dei rischi, ma saremo tutti più ricchi e più felici.
Buon anno

Francesco Callegari

6 gennaio 2017
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