Foto Intestazione di Alberto Gianfranco Baccelli

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Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all'amore, il resto è niente - Giorgio Gaber

venerdì 13 gennaio 2017

DOPO LA CAMPANA DI VETRO – Andrea Bergamo


Caro Francesco,
buon anno di fiducia e di amore. Nella vita e nel lavoro.
Ho letto con grande attenzione e interesse la tua "campana di vetro" e subito mi sono venute alla mente due immagini.
La prima, anno scolastico 1991/92, la legge 626 ancora non ha fatto capolino nel nostro ordinamento, ma già si organizzano i primi corsi di educazione alla salute e la sicurezza viene concepita in termini di prevenzione di incidenti. Su invito e sensibilizzazione dell'allora provveditorato agli studi, molte scuole iniziano le prime, ruspanti ma appassionanti e per nulla tecniche rilevazioni dei rischi, all'interno delle scuole. Ricordo che per quasi un mese, un gruppo di lavoro, nato all'interno del Consiglio di istituto, formato da docenti e genitori, ha fatto il giro di tutte le scuole, girando angolo per angolo, aula per aula, scala per scala, cercando di rilevare eventuali luoghi "pericolosi". Il tutto era finalizzato a creare una cultura della salute (sicurezza) e quindi di prevenzione degli incidenti scolastici negli alunni, dopo aver individuato eventuali rischi. Nessuno di noi pensava alla sicurezza in termini di responsabilità, ma di sicurezza, cioè di evitare agli alunni di cadere dalla scala scivolosa, di farsi male se sbattevano addosso ad uno "spigolo vivo", se si impigliavano la tasca dei pantaloni sulla maniglia, appuntita, della porta dell'aula...
Fu una bella stagione, ognuno di noi si sentiva utile alla causa comune: avere una ambiente scolastico, privo di pericoli, dove far vivere agli alunni la migliore esperienza di crescita culturale e di promozione dello star bene in mezzo agli altri.
Due anni dopo, arrivò la 626 e i corsi di formazione cambiarono prospettiva. E i dirigenti, allora presidi, cominciarono a cimentarsi con la burocrazia asfissiante degli adempimenti.
La seconda immagine, risale a 10 anni dopo, quando fui invitato, come relatore, in un convegno sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, organizzato dallo SPISAL dell'ULS 16 e dal Comune di Padova. Mi era stato affidato il tema: gioco e sicurezza nelle scuole dell'infanzia. Iniziai la mia relazione - usavano allora i lucidi e la lavagna luminosa - partendo dal concetto "rischio educativo della crescita", ponendo in primo piano il diritto del bambino di arrampicarsi sul castello di corda, posizionato nel salone della sua scuola, senza essere ossessionato dalla paura di cadere o dal divieto dell'insegnante che, per paura di complicazioni varie, vieta ai bambini di arrampicarsi sul castello. La relatrice che aveva parlato prima di me, una pediatra di fama nazionale, annuiva e sembrava condividere quanto stavo dicendo, ma mentre mi addentravo, con alcuni esempi, tratti dalle osservazioni di parecchie scuole dell'infanzia, e, un po', mi compiacevo, nel sostenere la necessità di favorire nei bambini il gioco spontaneo, senza eccessivi limiti e divieti, salì sul palco il direttore dello SPISAL, interrompendo la mia relazione, perché  troppo pedagogica, rispetto al tema del convegno. Qualche giorno dopo, il direttore venne a trovarmi in Ufficio e ricordando il mio intervento al convegno, mi apostrofò come "una serpe in seno".
Non ho mai pensato di avere doti da grande relatore, forse qualche volta avrò anche annoiato il pubblico che mi ascoltava, ma nessuno mai mi aveva definito "serpe in seno", per aver detto che i bambini hanno bisogno di sperimentare luoghi e situazioni,  con un pizzico di rischio e che lo stesso è utile per la crescita.
Caro Francesco, tutte le domeniche i miei due nipotini di 8 e 5 anni vengono a trovarmi e dopo aver suonato il campanello, provano gusto a nascondersi, per farmi uno scherzo. Io sto al gioco, ma mentre fingo di preoccuparmi come mai non vedo nessuno pur avendo sentito suonare il campanello, il più grande scavalca il cancello, si nasconde tra le fronde dell'ulivo che si trova nel mio giardino e, con aria soddisfatta, mi chiama e mi chiede: nonno, mi vedi? La mia prima reazione è  fingere la sorpresa, la seconda è raccomandargli che non metta i piedi  nei rami troppo fini che potrebbero spezzarsi e farlo cadere! Da qualche tempo, ne aggiungo una terza: stai attendo a non pestare i piedi a tuo fratello, che compiuti i 5 anni si sente pronto a emulare il fratello di 8.
Non possiamo pretendere che gli insegnanti si comportino come il nonno compiaciuto che rifiuta di dare divieti ai nipotini (ci pensano già i genitori) ma vorrei suggerire agli insegnanti di provare a fidarsi un po' di più dei loro alunni, di valutare la situazione ambientale e di accettare l'idea che il rischio zero non esiste. Allora, con la nostra saggezza, di educatori, possiamo anche tollerare che qualcuno possa sbucciarsi un ginocchio a scuola. Non sarà la fine del mondo, al contrario sarà l'inizio di un percorso identitario, che aiuterà l'alunno ad acquisire maggiore consapevolezza dei suoi limiti e della sua personalità.

Andrea Bergamo, dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale di Padova e Rovigo

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